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La crisi delle adozioni internazionali. Articolo di CIAI pubblicato su Avvenire

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Graziella Teti, esperta adozioni e membro del Consiglio Direttivo di CIAI  ha espresso in un articolo pubblicato su Avvenire di domenica 26 febbraio la posizione del nostro Ente in merito all’attuale situazione delle adozioni internazionali. Riflessioni, valutazioni e anche qualche ipotesi per il futuro.

La crisi delle adozioni internazionali

Di Graziella Teti, esperta adozioni, Consiglio direttivo CIAI

Le cifre parlano chiaro: negli ultimi 12 anni abbiamo assistito, a livello mondiale, ad una progressiva riduzione del numero delle adozioni internazionali. Guardando all’Italia, nel 2022 i bambini stranieri adottati sono stati 705 (565 adozioni portate a termine); nel 2010 furono 4130.
Da più parti tale riduzione è ritenuta negativa, quasi catastrofica, ma leggendo queste stesse cifre da punti di vista differenti e cercando di avere un quadro più generale della situazione, possiamo arrivare a domandarci se tale narrazione sia da condividere appieno.

Parola d’ordine: residualità

L’adozione internazionale, nata in Italia alla fine degli anni ’60, è stata fin da subito concepita come risposta valida, anzi utilissima, ma residuale, a protezione di quei bambini rimasti senza famiglia, per i quali non fosse possibile l’inserimento in una famiglia sostitutiva nel proprio Paese di nascita.
Due Convenzioni internazionali (ONU sui diritti dei bambini del 1989 e L’Aja del 1993) regolamentano l’adozione internazionale ed enunciano chiaramente questo concetto e il principio secondo il quale ogni bambino ha il diritto di vivere nella propria famiglia e nel proprio Paese di nascita, se possibile. I 115 Paesi che le hanno ratificate si sono impegnati a rispettare questi principi, attraverso la promozione di politiche di protezione dei bambini e di sostegno alle famiglie.

Il panorama mondiale

È importante ricordare che, nel frattempo, alcuni Paesi hanno avviato un processo culturale e di accrescimento della tutela sociale che ha portato a risultati inaspettati: in India, per citare l’esempio più eclatante, fino agli anni ‘80 l’adozione non era praticata perché culturalmente inconcepibile; da aprile 2021 a marzo 2022 sono state realizzate 2991 adozioni nazionali e solo 414 internazionali.

È difficile, anzi impossibile, conoscere il numero preciso di bambini negli istituti nel mondo; è certo però che molti di loro non siano adottabili e molti altri ancora (per età o stato di salute, ad esempio) non abbiano reali possibilità di esserlo, nel loro Paese come all’estero.
In momenti come questi, costantemente funestati da guerre e calamità naturali che creano migliaia di orfani, molti pensano all’adozione ma è bene ricordare che in contesti emergenziali risulta estremamente difficile accertare e dichiarare lo stato di adottabilità di un bambino o di una bambina e quindi l’adozione internazionale non può essere una soluzione immediata (come dimenticare le dolorose storie dei bambini ruandesi?).

Fra gli altri motivi che hanno portato alla riduzione delle adozioni internazionali dobbiamo ricordare la recente pandemia che ha causato la chiusura di alcuni Paesi e la guerra in Ucraina che ha, di fatto, bloccato intere zone di provenienza dei bambini. (Russia, Bielorussia, la stessa Ucraina).

Un sistema in crisi

A fronte di un sempre più ridotto numero di bambini per i quali viene seguita la strada dell’adozione internazionale in Italia colpiscono due dati: quello delle coppie in attesa di adozione (2500) e quello degli Enti autorizzati ad operare nell’ambito dell’adozione internazionale (47). Se a questo aggiungiamo i costi elevati e i tempi non certo brevi il quadro è completo: il sistema adozioni in Italia è in grande sofferenza.

È evidente che un sistema in cui operano ben 47 enti autorizzati a fronte di 565 adozioni non può funzionare: meno enti significherebbe invece più controlli, maggiore efficienza, e stimolerebbe una proficua collaborazione tra enti, servizi, istituzioni italiane e straniere.
Sarebbe poi importante prevedere forme di convenzione tra gli enti autorizzati e lo Stato, in virtù della funzione pubblica che gli enti esercitano: i costi per le famiglie diminuirebbero senza intaccare la qualità dell’intervento dell’ente.
In Europa, la maggior parte dei Paesi ha da tempo intrapreso questo cammino: meno enti, più
controlli, finanziamenti statali.

Le politiche

Sul fronte estero, è necessario perseguire una più decisa politica internazionale a favore dei minori senza famiglia, per favorire gli accertamenti sull’adottabilità dei bambini e per promuovere l’adozione internazionale nei Paesi in cui ci siano le necessità ma non ancora leggi e procedure applicabili.
Sul fronte italiano occorre innanzitutto superare la separazione tra adozione nazionale e internazionale, trovando il modo di valorizzare le risorse delle tantissime famiglie aspiranti, facendole incontrare con i bisogni dei tanti bambini che aspettano una famiglia. Per questo ci domandiamo se non sia più ragionevole pensare ad un’Autorità centrale unica, integrata, che si occupi di adozione -nazionale e internazionale -e affido.

Occorre rispondere a nuovi bisogni, ragionare sulle nuove forme di famiglie, aprirsi ad altre forme di accoglienza (affido, adozione aperta, adozione mite, minori non accompagnati etc) valorizzando le competenze professionali che gli enti più strutturati hanno maturato in tanti anni di attività a favore dei bambini soli o in difficoltà. Tali competenze sono ancora più necessarie vista l’altissima percentuale delle adozioni che riguarda bambini portatori di difficoltà diverse (età, salute, storie traumatiche, fratrie numerose, etc).

Sfide possibili, necessarie e urgenti che non esulano da una riforma complessiva della normativa in vigore che, a distanza di diversi decenni, necessita di essere agganciata alla realtà attuale, per dare risposte coerenti ai nuovi e mutati bisogni dei bambini.

*dati forniti dalla Ministra Roccella nell’audizione parlamentare del 15/02

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